Recentemente mi è capitato di partecipare alla stesura collettiva di un libro, una sorta di traslazione di ciò che è l’open-source ma in formato letterario, seppur di carattere tecnico.
Tra le review ricevute, ce n’è stata una che, sebbene approvando quanto fatto, rimandava a future evoluzioni dello scritto, che io, in quanto “proprietario” dello stesso, avrei potuto curare meglio.
A questa, ha risposto un altro utente, sottolineando che, in quanto open-source, è di tutti nello stesso momento in cui è stato pubblicato (e quindi chiunque avrebbe potuto aggiornare/modificare/migliorare).
Tutto giusto ma:
- ci son volute settimane anche solo per ottenere i voti sufficienti all’approvazione;
- è un tema poco trattato e da molti addirittura snobbato;
- quale valore aggiunto ha un’affermazione del genere.
Ma, partiamo con ordine.
Io son un fervente sostenitore dell’open-source. Penso che senza di esso nemmeno il closed-source potrebbe esistere e, soprattutto, saremmo ancora a windows 95 (che sì, eran un bel sistema operativo).
Ma fare open-source non significa annullarsi. Ok, scrivo codice che tutti possono leggere e correggere, traendo un enorme vantaggio ma questo non significa che non mi si debbano attribuire oneri e onori.
Se non ho a cuore io ciò che ho scritto, chi deve averlo? Uno che ha fatto un commento del tutto gratuito e che ha impiegato settimane per darlo?
P.s. tralasciando l’articolo che, sicuramente, è nulla in confronto a quanto la letteratura odierna e futura può offrire, negare l’ownership di un progetto è il modo più veloce per indurre gli autori a scrivere codice closed-source.